Il rigufiato climatico, un nome curioso ed un primato amaro

Estratto dal PIEGHEVOLE N3 « Chi mi tocca si scotta ». Da noexpo all’anticop, riflessioni critiche sui cambiamenti climatici

Gentilissima umana,
sono un contadino di una remota isola del Pacifico e scrivo queste righe perché la mia storia rimanga.
Alla vecchia maniera dei naufraghi, affido questi miei pensieri ad una bottiglia, nella speranza che possano rimanere a galla, fino a raggiungere mani curiose che sappiano raccogliere e raccontare. Mentre ripenso alla complessità della mia vicenda, di cui molto si è parlato e che tanta indignazione ha suscitato, tutto quel che stringo tra le mani è acqua salata, che sale ogni giorno di più.

La mia isola è stata per decenni un protettorato britannico.
Da efficiente amministratore, l’Impero ha estratto dalla terra e dall’ambiente quanto più poteva, intaccando il territorio con chilometri di miniere e decine di impianti industriali. Un centinaio d’anni di politiche estrattive, orientate al saccheggio, hanno letteralmente crepato buona parte del delicato equilibrio che teneva unite le zolle di terra sulle quali vivevamo.

Un centinaio d’anni di politiche estrattive, orientate al saccheggio, hanno letteralmente crepato buona parte del delicato equilibrio che teneva unite le zolle di terra sulle quali vivevamo.

Quando la Corona salpò con i suoi soldati, avevamo già problemi di accesso ad alcune fonti base e buona parte delle nostre risorse idriche si era esaurita nelle miniere ormai chiuse.

Restammo lì, ingabbiati su una terra emersa, circondati dall’acqua ma costretti ad inventare, giorno dopo giorno, un nuovo sistema per ottenere da questa massa oceanica pochi litri d’acqua
potabile.
Ironia tragica, dicevano gli antichi.

Poi venne il tempo in cui il cibo cominciò a scarseggiare ; con l’aumento della popolazione la questione dell’approvvigionamento era diventata certamente più complessa.
Ma non può dirsi responsabilità nostra quanto accadde a Fukushima : non abbiamo mai avuto centrali nucleari, ma abbiamo pagato care le conseguenze quella tragedia. La tossicità dei pesci, quando non la loro morìa, ha drasticamente ridotto la nostra principale fonte di cibo.

“Scappo dalla marea e dalla fame” spiegai loro “da un luogo amato, ma che ora sta scomparendo." Questa spiegazione non li convinse.

Decisi così di lasciare la mia terra e chiesi asilo in Nuova Zelanda.
In quel paese, nel porto di Auckland, così verde e soleggiato, avrei trovato un posticino anche per me, per mia moglie e per i nostri tre figli. C’erano delle belle case di legno : doveva pur esserci un luogo dove avrei potuto costruire la mia.

Al mio arrivo gli impiegati governativi mi osservarono interrogativi.
“Scappo dalla marea e dalla fame” spiegai loro “da un luogo amato, un tempo florido, ma che ora sta scomparendo nell’oceano. Non c’è più acqua né cibo. Ho tre bambini, ho paura per loro”.
Questa spiegazione non li convinse.
Non era una ragione sufficiente per accogliere un uomo e la sua famiglia. In un linguaggio che imparai a conoscere a mie spese, non era una condizione che garantisse l’accesso allo status giuridico di rifugiato.

Appresi poco a poco, con sgomento, che vi era una sorta di tassonomia della fuga, un elenco che inchioda altri paesi alle responsabilità dell’accoglienza. Non ero tra le voci dell’elenco.
Si può fuggire dalle guerre, dalle persecuzioni etniche, dalle discriminazioni politiche e sessuali.
La fame e la sete non sono considerate ragioni per le quali si possa lasciare il proprio paese ed essere certi di ricevere accoglienza in un altro.
Almeno in questo momento.
Così, mentre mi offrivano un caffè, mi spiegarono che all’interno di istituzioni e conferenze internazionali si discuteva già del mio caso. Ma non solo del mio. Di centinaia, migliaia forse anche milioni di uomini che fuggono.

Dissero che se mi avessero concesso lo status di rifugiato, avrebbero aperto le porte a più di due milioni di richieste altrettanto legittime. E questo, il loro mondo, non se lo poteva permettere.

Non mi arresi e ci riprovai ; contattai un avvocato e da lì, insieme, percorremmo la lunga strada che conduce alla Corte Suprema.
Quei giudici dissero che capivano, che era tutto vero, che ciò che chiedevo era giusto. Purtroppo, però, aggiunsero che non potevano metterlo nero su bianco : dissero che se mi avessero concesso lo status di rifugiato, sulla base delle mie allegazioni, avrebbero aperto le porte a più di due milioni di richieste altrettanto legittime entro la fine dell’anno. E questo, il loro mondo, non se lo poteva permettere.

Così mi riaccompagnarono sulla mia isola, una terra che oggi non interessa più a nessuno e che è tornata ad essere casa mia. Ogni giorno il livello dell’acqua si solleva di un po’ e la marea mi solletica le ginocchia. Schiacciato da innumerevoli carteggi, vessato da opinioni, divorato da stampa ed istituzioni, liquefatto in decine di risoluzioni, oggi per il mondo sono il primo rifugiato climatico. Un nome curioso ed un primato amaro.

Note a margine di una lettera non ancora scritta

Rifugiato ambientale : oltre l’inchiostro di questa definizione si nasconde una storia che, a partire dai primi anni del nuovo millennio, ha interessato milioni di persone e centinaia di chilometri quadri di pianeta. Dal 2010 i profughi ambientali hanno raggiunto numeri tanto significativi da non poter essere ignorati all’interno delle agende politiche dei paesi della Cop21 : le proiezioni, concretamente, oscillano tra 200/250 milioni ed 1 miliardo di rifugiati determinati da ragioni climatiche entro la prima metà del secolo.

Nella maggior parte dei paesi le leggi sull’immigrazione concedono un ingresso condizionato a 3 categorie di migranti : quelli economici, ammessi se ritenuti utili all’economia nazionale, quelli familiari, ammessi grazie ai ricongiungimenti, ed i rifugiati.
La Convenzione Internazionale sui Rifugiati contempla cinque casi meritevoli di protezione : persecuzioni basate sulla razza, sul credo, sulla nazionalità, sull’appartenenza ad un gruppo sociale o, infine, sull’orientamento politico.

Fuggire da un territorio che, in conseguenza di mutazioni lato sensu ambientali derivanti da cambiamenti climatici, non offre più sostentamento o sicurezza alla popolazione autoctona, non è, ancora, considerato meritevole di tutela.
La solidarietà apre i polmoni, e più respiriamo insieme più l’aria si rinfresca.

Note

Pieghevole creato e confezionato dai compagni di Piano Terra e Lab Off Topic di Milano

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