La COP21 sarà sociale oppure non sarà

Più si parla di una cosa, meno la si capisce. È proprio ciò che succede con la 21esima conferenza che riunisce mille voglie cacofoniche di mobilizzazione di numerosi collettivi, partiti, sindacati, ONG, ecc.

CHE COS’È LA COP21 ?

È la 21esima conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (Copenhagen è stata la 15esima, Kyoto la terza per citarne solo le più famose) che si terrà al Bourget dal 30 Novembre all’11 dicembre 2015. Per due settimane, 40000 pericolosi criminali da tutto il mondo si riuniscono per decidere in quale sugo far cuocere il clima per salvare l’umanità. L’obiettivo annunciato di “questa grande conferenza climatica di tutti i tempi” è di raggiungere degli accordi vincolanti sulle emissioni di gas ad effetto serra e sull’inquinamento atmosferico. È l’occasione di riproporre le quote di inquinamento che quelli che inquinano di meno rivenderanno a quelli che inquinano di più (è ben noto : alla fine in atmosfera si equilibra tutto..), di sviluppare l’industria “verde”, di introdurre elucubrazioni scientifiche di geo-⁠ingegneria (modificare il clima tramite dei procedimenti chimici e/⁠o fisici), o anche di produrre delle nuove marche di “inquinamento verde”. Di solito loro sopportano le industrie più inquinanti e le distruzioni più diverse del pianeta, ma si dice che stanno sul punto di sistemare tutto questo. In breve, è come se facessimo riunire dei mafiosi in una stanza e domandassimo loro di auto-⁠infliggersi collettivamente una sanzione e di mettersi a giudizio.

Di fronte a questa bella parodia democratica di un mondo che guida sulle sue quattro ruote sorvegliando il suo tubo di scappamento, c’è la società civile, una massa disparata di associazioni e di organizzazioni politiche che partecipano ad un grande banchetto politico-⁠mediatico di fine anno. Da un lato si tratta, con un lobbying quotidiano di far pressione su quelli che decidono e dall’altro c’è la volontà di svegliare le popolazioni alla loro coscienza sotterata. Il tutto accompagnato da una benevolenza non violenta, che non attacca né i beni né le persone. Gli strumenti messi in opera fino ad ora sono stati la petizione, i flash-⁠mobs, i blocchi, le manifestazioni, i villaggi alternativi, le azioni di disobbedienza civile, etc.


LA MOBILIZZAZIONE DI FRONTE ALLA COP SARÀ SOCIALE OPPURE NON SARÀ

In questo guazzabuglio, dove ciascuno vuole potere dire che c’era, che anche lui si preoccupa del clima e che teme per il futuro dell’umanità, rimane tuttavia un cratere che tutte queste iniziative hanno difficoltà a colmare : il deficit di forza politica, di conflittualità sociale. Non saranno le decine di migliaia di persone che vengono a protestare le loro aspirazioni cantando in verde a creare le basi di un ampio movimento internazionale che possa rimettere in causa l’intero sistema capitalista.
Che si possa immaginare che di fronte a dei governi ultra-liberali che considerano il sociale, la vita, le risorse minerarie, i gas o i liquidi come delle equazioni economiche, si risparmierà un conflitto frontale (e di conseguenza brutale), è sfortunatamente una bella illusione (la situazione drammatica della Grecia non lascia alcun dubbio su questo argomento-anche per salvare l’economia di un piccolo paese, non c’è margine di manovra autorizzato). Non c’è transizione che tenga quando la corruzione è al comando della nave : ciascuna piccola vittoria non è che un compromesso ed una concessione (mal) mascherata. Si vince soltanto quel che si sottrae a questo sitema, e non quel che ci concede. E lo si vince e lo si tiene solo se si costruisce un equilibrio delle forze conseguente, col numero, l’organizzazione e la determinazione. A dicembre, se migliaia di persone convergono a Parigi, è necessario cogliere l’occasione, non di assaltare sterilmente un Bourget iper militarizzato o di accontentarsi della solita manifestazione-spettacolo. Piuttosto dobbiamo occupare lo spazio delle strade, delle piazze, della città e costruire il nostro luogo comune, quello di un vero forum sociale internazionale. E non si tratta di una tribuna per universitari o per politici abituati ai grandi discorsi, ma di creare degli spazi di resistenza urbana. Uno spazio fisico e politico dove centinaia di lotte possano appropriarsi della strada, esprimersi, incontrarsi, mischiarsi ed arricchirsi reciprocamente. I politici vogliono darci l’impressione che loro possono risolvere tutto facendoci vedere lo spettacolo delle loro chiacchere durante i giorni della Conferenza, ma noi non dobbiamo dare retta a tutta questa illusione. Un controvertice deve essere l’occasione di attaccare con le parole e con i fatti la loro propaganda bugiarda, per costruire, dopo, una vera resistenza contro la loro reale politica. Contro l’economia che schiavizza l’umanità agli imperativi della produzione dei beni e dei nuovi mezzi di produzione, contro gli stati, sotto tutte le loro forme, che abbiano o meno la pretesa di essere “democratici”, e che pretendono decidere al nostro posto. Se noi ci accontentiamo di uno spettacolo di resistenza anarchico e militante di qualche giorno, significa che non siamo molto più conseguenti di quelli che pretendiamo combattere.

Le ZAD e altri territori in lotta contro le grandi opere inutili hanno lanciato un appello per convergere in convogli a Parigi in occasione della COP21. Questi/e compagni/e, non ancora abbastanza numerosi/e, non hanno aspettato un controvertice o gli imperativi dell’agenda per lottare, e continueranno a farlo. In questo senso indicano la via da seguire.

Può sembrare difficile pensare una lotta contro l’inquinamento atmosferico o altro, contro la distruzione dell’ambiente in generale, in una metropoli costruita essenzialmente, come qualsiasi metropoli, in base ad un principio di aumento permanente della produzione economica, delle sue infrastrutture, del consumo energetico e quindi dell’inquinamento. Potrebbe quindi sembrare derisorio difendere l’ultimo metro quadrato di terre agricole e di foreste quando la costruzione delle assegnazioni di questa metropoli ne sgranocchia dieci volte di più ogni anno (all’incirca 80000 ettari in Francia ). Sono tutte terre per l’alimentazione, vitali per il futuro, che sono sacrificate sull’altare dell’urbanismo e tutte vite che sono sia spinte dalla desertificazione, dalla campagna verso la città, sia ingerite da quest’ultima nella sua espansione. La metropolizzazione, o la messa in concorrenza delle città tra loro, conduce a delle spese irrazionali. Le dissolutezze di luci e di mezzi messi in opera per « rassicurare” e “arredare” la città non vanno affatto nel senso di una padronanza delle spese energetiche. Allo stesso modo in cui organizziamo i summits climatici come nascondiglio per la miseria, si maschera la profusione dietro norme HQE e un ben vivere preconfezionato. Per nascondere l’enorme profitto realizzato da chi amministra e devasta i territori, il “pane e i giochi” al servizio del popolo sono branditi per giustificare tutte le fantasie architettoniche e urbanistiche.

Ma le prospettive apocalittiche che aprono a termine i cambiamenti climatici non possono non avere delle ripercussioni sull’intera umanità, dagli abitanti delle isole che verrano ricoperte dall’oceano a quelli dell’agglomerazione parigina. Tra la popolazione esiste già un alto numero di persone che, direttamente o meno, hanno sofferto sia della degradazione irremediabile delle loro terre, sia di allagamenti divastatori, sia di conflitti sull’acqua o della padronanza di risorse fossili (petrolio, uranio...).. Sentiamo spesso evocare il termine di "rifugiato climatico" come se gli uomini non appartenessero tutti a uno stesso pianeta : siamo tutti rifugiati in divenire. L’immigrazione non è conseguenza solamente dell’innalzamento delle acque o della desertificazione di certi territori, ma prima di tutto delle guerre economiche che l’occidente ha sostenuto nel Medio-oriente, in Asia, in Africa e in America Latina negli ultimi 50 anni. Se il capitalismo non avesse proseguito la sua colonizzazione per impadronirsi delle risorse dei paesi detti "poveri", questi ultimi non avrebbero di certo scambiato una servitù politica con una servitù economica (all’FMI, alla Banca mondiale, all’OMC e tutte queste istituzioni che hanno restabilito un colonialismo neoliberale). Nel vedere come i nostri governanti accolgono chi fugge da guerra e fame in questo momento, non possiamo certo fidarci della loro generosità per i rifugiati che scapperanno dai prossimi disastri.

Lottare contro il riscaldamento climatico non può che significare lottare contro il capitalismo, la cui produzione massiva di gas serra ne è una delle sue mostruose manifestazioni. Non possiamo combattere ciò che ci opprime ogni giorno al lavoro, nel nostro quartiere, nei nostri rapporti di classe o di genere e chiudere gli occhi quando nella nostra città si svolge un evento che costituisce uno dei peggiori insulti al genere umano e alla vita in generale. L’industria che inquina è la stessa che sfrutta : sono gli stessi bisogni produttivistici che giustificano il degradarsi delle condizioni di lavoro e la negazione di ogni ragione ecologica. E una società mondializzata che si è imbarcata a testa bassa in una corsa mortale in avanti, dove la sacrosanta crescita legittima ogni sorta di sacrificio umano, nonostante esso significa un crash mondiale a breve termine.Poiché non sono soltanto gli indicatori ecologici ma anche quelli economici che sono allarmanti : il proseguimento cieco del progresso sta per risolversi con un’incredibile regressione dell’intera umanità.

Non ci si puo accontentare ora di una posizione “not in my backyard”, dicendosi che tutto cio è troppo lontano da noi perché ci possa riguardare o che la lotta si svolge sopratutto al livello locale e non al livello globale. La lotta comincia localmente ma non si ferma li. All’avvicinarsi di dicembre, come prima di ogni grande evento internazionale politico o sportivo, si puliscono gli intorni del raduno, si cacciano i poveri perché non inquinano la vista dei ricchi e si trasforma lo spazio urbano in una riserva privata sicuritaria. Il dipartimento di Seine-Saint-Denis è uno dei più poveri e inquinati in Francia, pero è precisamente dove si terrà la COP21, accanto all’aeroporto di affari del Bourget. Gli invitati potranno atterrare direttamente sul sito e non avranno da affrontare gli ingorghi stradali senza fine delle autostrade del nord di Parigi, nemmeno avranno da contemplare le torri e industrie chi vi ci concentrano a perdita di vista. Tutto intorno, si farà in modo che non ci siano più né squats, né roms, né migranti, né niente di quello che, pero, caratterizza questo dipartimento dove Parigi rilega la povertà tutto il resto del tempo. Violenze poliziesche, sfratti, rastrellamenti, ce ne saranno, purtroppo. Lotte locali e lotte globali sono un tutto indissociabile il cui responsabile ed avversario unico sarà il sistema capitalista.

Dobbiamo agire ora, mentre la macchina di propaganda si è già attivata per “associare la società civile” a la sua grande bugia. Definiamo collettivamente i bersagli della nostra ira, lavoriamo a colmare il fossato tra lotte sociali e lotte ambientali, prepariamo attivamente quello che deve diventare, per la nostra dignità comune, la storia di una disfatta schicciante per i dottori Faust del 21esimo secolo.


CI VOGLIONO LUOGHI PER ABITARE IL MONDO, SPAZI PER PENSARLO E PER ORGANIZZARSI E VIE PER AGITARLO

Quest’estate a Bure (nella Meuse, regione di Francia), a Parigi in settembre e durante i mesi prima della COP21, abbiamo un luogo in comune da pensare e costruire sul lungo termine. Che siano dei centri sociali di convergenza, degli spazi collettivi di vita ed alloggio, dei luoghi di ripiego e riposo o dibattiti ed incontri, abbiamo bisogno urgentemente di riappropriarci gli spazi politici collettivi. Non dobbiamo soltanto mostrare la nostra rabbia, ma dobbiamo ancorarla profondamente ; che sia mobilitando importanti mezzi logistici che abbiamo saputo mobilitare sulle lotte di territorio in città e al di fuori e che vanno nel senso dell’autonomia collettiva, o che sia appoggiandosi su innumerevoli media, retti e collettivi che tessono una vasta ragnatela di resistenza in Francia, in Europa e nel mondo intero. Investando insieme Parigi in dicembre, non creeremo soltanto uno spazio di autonomia collettivo puntuale, ma occuperemo durabilmente l’immaginario di cui abbiamo bisogno per lottare a Parigi e ovunque altrove nelle settimane, mesi e anni a venire. L’anti-cop21 non deve essere altro che un indicatore sulla via della nostra emancipazione collettiva.
Non si tratta soltanto di rispondere all’agenda dei decisionisti e sviluppatori, ma di approfittare del fatto che siamo molto numerose-i allo stesso posto nello stesso momento, per costruire delle retti e delle prospettive locali e internazionali di lotta per i prossimi anni.

Mots-clefs : COP21

À lire également...